Premio Abraham – Torok, 8 marzo 2025
Ringrazio Elisabeth Bayrt Darquis, la giuria tutta e l'Association Européenne Nicolas Abraham et Maria Torok per aver assegnato al mio libro questo prestigioso premio.
Sono molto commosso perché è un cerchio che si chiude. Senza Abraham e Torok la mia vita sarebbe stata profondamente diversa. Forse non l’avrei nemmeno dedicata alla psicoanalisi.
Nell’estate del 1978 incontrai Nicholas Rand a Freiburg, Germania. Entrambi frequentavamo il Goethe Institute per migliorare il nostro tedesco. Io avevo 23 anni, studiavo filosofia e avevo scelto Freiburg perché avevo iniziato a lavorare su una tesi sulla fenomenologia dello spazio e del tempo. Diventammo amici e mi trascinò in Rue Cherche Midi, dove ovviamente rimasi ipnotizzato da Maria Torok la quale, da vera adescatrice, mi regalò gli scritti ancora inediti di Nicholas Abraham sulla “transfenomenologia” che, guarda caso, avevano a che fare sia con la fenomenologia che con il tempo. La caramella era irresistibile e io mi lasciai adescare. E poi era lo stesso anno in cui venne pubblicato l’Ecorce e le noyau (in italiano La scorza e il nocciolo)! Il risultato fu uno straordinario arricchimento intellettuale ma anche di esperienze, come rovistare nei libri di Nicholas Abraham o visitare Emmanuel Levinas e Jacques Derrida, tutte cose fino ad allora inimmaginabili per un povero provinciale come me.
Vorrei ora far capire come quest’incontro ha influenzato le mie scelte.
Il mio avvicinamento alla psicoanalisi è avvenuto in un momento storico irripetibile. In quegli anni è davvero avvenuto un diffuso rinnovamento della psicoanalisi. In America c’era la cosiddetta “Crisi della metapsicologia”, ossia ci si era resi conto che gli assunti ultimi e il loro linguaggio fisico, chimico e biologico non erano compatibili con il sapere scientifico riconosciuto. Inoltre stava emergendo una diffusa consapevolezza della nostra radicale intersoggettività, e l’infant observation lo stava ratificando in modi che illuminavano ciò che avveniva nella stanza di analisi. Infine il racconto canonico di come era nata la psicoanalisi era stato smontato pezzo per pezzo. Ma non era stato ancora rimontato – e qui forse sta il senso della mia ricerca. Il libro che viene oggi premiato è un tentativo di superare quella crisi profonda producendo una storia delle origini, e quindi anche delle fondamenta e del telos della psicoanalisi in cui ci sono tutti gli elementi che ci sono sempre stati, ma montati in modo diverso. E questo dà, naturalmente, a ciascun singolo elemento un significato diverso.
Ma andiamo con ordine e partiamo da zero. Influenzato da Abraham e Torok ho incontrato Freud attraverso Ferenczi, il cui stile di scrittura affonda i piedi nel senso comune ed è refrattario alle oscurità della metapsicologia. Mi sono allora avvantaggiato dell’enorme sforzo dispiegato da Ferenczi per capire Freud. Come ricorda nel Diario Clinico, Ferenczi voleva mostrare a Freud che lo capiva perfettamente. Tuttavia, il risultato spesso finiva per irritare Freud. Infatti, in questo sforzo di assimilare il pensiero del maestro, Ferenczi finiva sempre per metterci qualcosa in più, come quando, per esempio, per spiegare il transfert introduce il nuovo concetto di introiezione. Similmente, in questo processo la prospettiva si sposta sempre un po’, fino a udire e vedere cose nuove. Forse è perché ero già predisposto a questo esercizio che, quando è apparso il primo volume della corrispondenza Freud-Ferenczi, nel 1992, un sogno di Ferenczi mi colpì così profondamente da spalancare di colpo una nuova prospettiva. Mi sono infilato in questa finestra e da qui ha preso il via la mia ricerca.
Mi riferisco al sogno del pene sul vassoio. Ferenczi lo ha quando, nel momento in cui si consuma la rottura tra Freud e Jung, si schiera con il maestro e lo difende dall’accusa di non lasciarsi analizzare. Ma è anche il momento in cui rinuncia alla speranza di avere con Freud un rapporto basato sulla sincerità reciproca, e gli chiede di iniziare una analisi con lui. Il sogno glielo manda proprio come inizio di questa analisi, ed è un capolavoro di ambivalenza, perché non si capisce chi è il soggetto dell’analisi, se Ferenczi o Freud. Certamente è un sogno di castrazione, ma mi apparve anche come un sogno sulla teoria della castrazione di Freud. Incominciai allora a pormi delle nuove domande che mi portarono a scoprire quanto fossero diffuse le pratiche di castrazione delle donne, come Freud si fosse incontrato in più modi con queste pratiche e soprattutto come egli si fosse incontrato con gli orrori della castrazione delle bambine nel corso del suo training pediatrico, e infine come la paziente più importante degli anni decisivi della fondazione della psicoanalisi, mi sto riferendo a Emma Eckstein, fosse stata lei stessa circoncisa da bambina all’apice della grande crociata contro la masturbazione che ha così profondamente segnato l’età moderna.
Riuscire a rimettere insieme queste cose in un modo intellegibile e convincente è stato un processo molto lungo. Soprattutto era un processo che per avanzare aveva un terribile bisogno degli altri. Devo dire che ho avuto molti compagni di viaggio eccellenti. Il libro che viene oggi premiato è venuto alla luce solo grazie a un lungo, intenso e quasi quotidiano scambio con Philippe Refabert, che oggi è qui con noi. Ma oggi devo ricordare particolarmente Adrian de Klerk, un analista olandese che aveva intuito che la parola chiave del sogno dell’iniezione di Irma, trimethilamin, era una ricombinazione dei fonemi di brith mila, circoncisione in ebraico. Siamo infatti molto vicini alla criptonimia teorizzata da Abraham e Torok, alla sepoltura di una parola chiave in un’altra omofona, in cui viene al tempo stesso conservata e cancellata. La difficoltà sta nel capire di quale circoncisione si sta parlando. Prima di incontrarmi, de Klerk pensava che era la circoncisione che aveva segnato il corpo di Freud. Ma per me quella era solo la cassa di risonanza della mutilazione genitale subita dalla paziente di Freud, Emma Eckstein, un trauma che, nonostante fosse stato ripetuto persino nella operazione al naso di Emma, non poteva essere riconosciuto e rappresentato come un trauma perché, in quegli anni, l’escissione era praticata e descritta come una terapia. L’orrore c’era ma era ribaltato nel contrario – un po’ come avviene nel video di Trump-Gaza che in questi giorni ci ha lasciato sgomenti.
Testimoniare dell’orrore e ripristinare la capacità di reagire all’orrore è la missione della psicoanalisi, quella iscritta nel suo atto costitutivo. Ma è un compito che non può essere compiuto da un uomo solo, e Freud era un uomo solo, per non dire male accompagnato (parlo di Fliess). C’era bisogno di un gruppo, un movimento, una organizzazione, la quale non tarda a formarsi attorno a Freud. Ma subito si spezza. Avviene nel 1912 e poi di nuovo nel 1924, e ancora nel 1932 quando si consuma la rottura tra Ferenczi e Freud e la missione di resistere all’orrore viene messa in soffitta. Insomma non possiamo stare da soli, ma nemmeno nel gruppo.
Qui il mio pensiero torna ad Abraham e Torok. In uno degli incontri successivi con Maria Torok, quando ormai ero stato sedotto dalla psicoanalisi, lei mi sconsigliò vivamente di fare il training con una società psicoanalitica affiliata all’IPA. Mi disse che avrei perso la mia libertà di pensiero.
Mi è capitato molte volte di ripensarci e non sono mai riuscito a prendere una posizione netta sulla questione, anche se tendo sempre di più a considerarlo come un buon consiglio.
La mia partecipazione alla vita istituzionale è stata ricca, piena di stimoli e occasioni, Ho partecipato attivamente al movimento del rinascimento ferencziano, in cui ho ricevuto tanto sul piano umano e intellettuale, e credo che questo mi abbia dato la forza di lottare per più di 30 anni per fare avanzare le mie idee. Non è stato facile, ma credo che dentro a una società IPA sarebbe stato impossibile. Mi avrebbero stroncato.
Ne sto avendo una prova indiretta nella società psicoanalitica ferencziana che ho creato in Italia e che raccoglie persone già formate e che è diventata un luogo di accoglienza, un rifugio, per terapeuti maltrattati delle società psicoanalitiche IPA. E qui tocco il problema del carattere iatrogeno che può avere la psicoanalisi. Se ne parla troppo poco. Ovviamente ci possono essere cose che non vanno anche nelle società non IPA, ma l’esperienza mi ha insegnato che nelle società IPA il maltrattamento e forme di umiliazione tendono a essere parte di un sistema.
Noi abbiamo bisogno di stare assieme e io credo che sia possibile trovare modi e forme migliori. Se non ci riusciamo noi, come possiamo sperare di porre un freno alla barbarie che avanza?