La resilienza dopo il trauma estremo, o Come contrastare la fine della civiltà?In questo seminario ci concentreremo su alcuni snodi della teoria e della clinica del trauma in Ferenczi che cercheremo di sviluppare, anche in considerazione della crescente traumatizzazione della nostra epoca, e della necessità di acquisire una capacità di resilienza sempre maggiore.
Partiremo dalla differenza tra trauma relazionale reale (come analizzato da Ferenczi soprattutto nel Diario Clinico) e trauma fantasmatico (come teorizzato da Freud). Infatti dobbiamo a Ferenczi, come evidente nei disaccordi con Freud, una comprensione del trauma come evento interpersonale o come una serie di eventi relazionali negativi che hanno un effetto devastante/distruttivo sulla psiche del soggetto, in contrasto con un modello di traumatizzazione che affonda le radici soprattutto in una visione fantasmatica e intrapsichica del trauma, a seguito della revisione della cosiddetta “teoria della seduzione” di Freud o la rinuncia ai suoi “neurotica” nel 1897). In opposizione a loro volta a una visione a-storica della traumatizzazione, alcuni studiosi e clinici hanno sentito il bisogno, specie a seguito di una riconsiderazione degli eventi storici del secolo precedente come la Shoah e le due Guerre Mondiali, di rivalutare in modo diverso la storia stessa traumatica dei soggetti e di concentrarsi nella clinica sulla ricostruzione traumatica come fondamentale per una “riparazione” individuale e collettiva (si vedano Grubrich-Simitis, Bohleber, Herman, Mucci).
Analizzeremo le dinamiche e le conseguenze della traumatizzazione interpersonale grave sia a livello di relazione genitore e bambino, (come nei casi di precoce maltrattamento, deprivazione grave o l’abuso vero e proprio) che a livello sociale massivo (come nel caso di guerra, genocidio, sterminio. Il modello di Ferenczi, che peraltro non poteva contemplare indicazioni per le traumatizzazioni sociali gravi come guerra, stermino e genocidio per ovvi motivi storici, essendo morto nel 1933, ci fornirà tuttavia spunti di riflessione sulle dinamiche vittima-persecutore e sulle conseguenze principali del trauma da Ferenczi delineati come "frammentazione" della psiche (ciò che oggi chiamiamo dissociazione), e sul processo di “identificazione con l’aggressore”, che consiste nell’introiettare non solo l’aggressività del persecutore ma anche il suo senso di colpa scisso. Tale identificazione interna con una parte di sé-vittima e una-aggressore (del proprio corpo, della propria vita o dell’altro) diventa il fondamentale motivo della ripetizione traumatica della rivittimizzazione e della trasmissione traumatica intergenerazionale.
Questa identificazione con un persecutore interno (una sorta di Sé alieno) poi esternalizzato (sul proprio corpo o sull’altro) a livello individuale o di gruppo un’altra causa di ritraumatizzazione e di distruttività, con identificazioni perverse e perfino paranoidi e antisociali (si vedano i diversi modelli di applicazione di questi concetti in Frankel, Volkan, Kernberg, Mucci).
Come conseguenza di queste considerazioni e seguendo il modello di Ferenczi per la clinica verrà ribadita l’esigenza eminentemente etica di una pratica psicoterapeutica che diventi una forma di testimonianza basata sull’atteggiamento di empatia o ciò che Ferenczi ha chiamato, contro la neutralità freudiana, la presenza di un terapeuta come “testimone” “benevolo e soccorrevole”. Infatti, poiché le identificazioni interne con le dinamiche vittima-persecutore di chi ha subito una traumatizzazione per mano umana di possono portare a ripetizione della violenza stessa e autodistruttività, è solo nel lavoro interpersonale e intrapsichico con un terapeuta “benvolo e soccorrevole”, vero testimone del dolore dell’altro, che le parti “frammentate” possono trovare voce e che la vittima può recuperare una forma di empowerment, può riacquistare il senso della propria vita e uscire dal ciclo di ripetizione e distruttività traumatico. Nella terapia pertanto, come Ferenczi affermava, “l’abreazione non è sufficiente” ma è necessario un lavoro di ri-appropriazione e reinscrizione, anche a livello di memoria implicita, di nuove modalità relazionali e di autostima e nuove forme di creatività e di partecipazione collettiva.
Ferecnzi nel Diario Clinico osava perfino parlare di “amore” e lo conclude con il “perdono”, fondamentale per l’al di là del trauma. Contro la crescente disumanizzazione delle nostre società, contro aggressività, violenza e crescente indifferenza e narcisismo, vorremmo porre una riflessione verso ciò che più ci rende umani (e di cui Ferenczi ante litteram sapeva parlare): empatia, resilienza come fondata sui legami umani fondamentali, responsabilità per l’altro e per se stessi, capacità di elaborare il lutto per quello che in una vita non ci sarà e quindi la perdita, insieme all’importanza da dare alle forme simboliche e alle pratiche (come arte, comunicazione, cultura, creazione simbolica) che fanno degli esseri umani gli unici animali complessamente simbolici.
Clara Mucci è Professore Ordinario di Psicologia Clinica presso l’Università of Chieti dove è stata per anni Professore Ordinario di Letteratura inglese e teatro shakespeareano. Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico (SIPP, Milano), dove è anche docente, ha conseguito un PhD presso la Emory University (Atlanta) e ha effettuato un tirocinio presso l’Istituto per i Disturbi di Personalità di New York diretto da Otto Kernberg. E’ autrice di varie monografie su Shakespeare, la teoria della letteratura e la scrittura femminile (Liminal Personae, 1995; Tempeste, 1998; Il teatro delle streghe, 2001; A memoria di donna, 2004; I corpi di Elisabetta. Sessualità potere e poetica della Cultura al tempo di Shakespeare, 2009) e sul trauma e la Shoah (Il dolore estremo, 2008; Beyond Individual and collective Trauma. Psychoanalytic Treatment, Intergenerational Transmission and the Dynamics of Forgiveness, 2013; Trauma e perdono, 2014). Recentemente ha curato con G. Craparo il volume Unrepressed Unconscious, Implicit Memory and Clinical Work (Karnac Books, Londra, 2016).